miércoles, marzo 17, 2021

Saffiche




 

Belli e nobili sono gli amici che tu addolori, Rimprovero. Concedetemi che la mia amata qua giunga incolume, e che cancelli tutti gli errori che in passato ho commesso. Va chiama le cose in cui ho errato prima, quelle scioglierle. Chiama tutto, ma non la festa.

 

Gli uomini non possono mai essere del tutto felici, ma possono pregare di aver parte. Ecco sull’altare la carne di un candido ariette. La fatica mi ha stremato il cuore, la notte è vicina, verso di te il mio pensiero non potrà mai cambiare. Il dolore mi avvolge, e via da me vola Desiderio, inseguendo Lei, dal seno viola. Vada errando, voli intorno a te che sei bella, e io ne godo quando ti guardo di fronte, e questo sappi nel tuo cuore, che io da tutti gli affanni, vegliare in festa per tutta la notte vorrei, che noi pure in giovinezza queste cose facevamo, che molte e belle cose viviamo, che anche tu un tempo eri una fanciulla, e amavi cantare, cantando l’amore tuo, e della sposa dal seno di viole. Questa visione veramente mi ha turbato: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire, e bramo e piango e bramo ancora.

 

Io ero innamorato di te, mi sembravi una bimba minuta e sgraziata. Eros mi ha squassato il cuore, come una raffica che irrompe sulle querce montane. Io ti desideravo e tu hai raffreddato il mio animo che ardeva di passione. Credo che in nessun tempo vedrà la luce, una ragazza pari a te in Sofhia. Io amo la raffinatezza, e voi lo sapete, e a te l’amore per il sole ha dato in sorte splendore e bellezza.

 

Oh, Sogno! Tu che attraverso la cupa notte ti aggiri, quando il Sonno, dolce dio, terribilmente assilli!

 

Ma lei voleva andare, Rimprovero, e mi lasciava piangendo a lungo. E asciugando le mie lacrime con il suo fazzoletto, così mi diceva:

-Ah, che pene spaventose soffriamo, caro amico. Davvero contro il mio volere ti lascio.

Ma io non conosco ira e rancori, il mio cuore è mite. E così le rispondevo:

-Và, e sii felice, e di me serba memoria. Tu sai quanto bene ti volevo, ma se non lo ricordi, allora voglio  ricordarti tutti i momenti belli che abbiamo vissuto insieme: con unguento floreale placavi il desiderio, e non c’era festa né sacrificio ne fragore ne danza, da cui noi fossimo assenti…

 

Ora, fra le donne Partenopee, spicca come talvolta, tramontato il sole, la luna dita di rosa. Supera tutte le stelle, e posa la sua luce sul salso mare come sulle campagne rigogliose di fiori. La bella rugiada si è diffusa, ed è in fiore il mirto, i teneri cerfogli, e il meliloto. Un canto dolce, con voce di miele, canta Afrodite. Il respiro si ferma. Le cosce si contraggono. Sudano. -Voglio avere compagne, diceva. Posa intorno alle chiome corone graziose. -Chi si adorna di fiori è più bella, più amabile a vedersi.

 

Piena si mostrava la luna, e le ragazze si disposero intorno all’altare. A un suo chiamato l’Usignolo, nunzio di primavera, mi porta in centro al cerchio, e io così parlai a la mia amata:

-Avvicinati dunque e dimmelo, donzella di piede leggiadro, prima che Aurora disperse ogni cosa.

-Sposo fortunato, interviene con un sorriso Afrodite, non vedi che sono già celebrate le Nozze? È tua la ragazza che sognavi…

 

Oh, Delirio! Tu che attraverso la cupa notte ti aggiri, quando il Sonno dolce dio, variegato di mille colori, vorrebbe chiudere gli occhi!

 

È tramontata la luna. Eros, che dona i dolori, dorme sul seno di una vitella incinta. Il tempo trascorre. Io dormo solo. Accanto a me, odora di viola, un fazzoletto gocciolante di lacrime.


Testo: Eduardo Magoo Nico. (Un esercizio di riscrittura di testi riconducibili a Saffo e non).

Immagine: Afrodite. (Dea greca).  

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